Racconti al Fuoco di Bivacco
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La leggenda del Vajont
2017-01-06 23:17:10
Sono passati molti anni da quando, in una terribile notte autunnale, un’immensa ondata d’acqua, uscita dalla diga del Vajont nel Bellunese, spazzò via quasi completamente la cittadina di Longarone.

Gli scouts di varie regioni d’Italia, poche ore dopo la sciagura erano sul posto, per collaborare all’opera di soccorso e di pietosa ricerca delle salme. Arrivarono con le loro tende ed il loro equipaggiamento perché in simili circostanze è fondamentale essere autonomi.
Quasi tutti i soccorsi erano diretti a Longarone; gli scouts si fermarono invece più a valle dove non c’era quasi nessuno e grande invece era la necessità di intervento, soprattutto per il recupero delle salme trasportate dalle acque del Piave.


Gli scouts si misero subito al lavoro, in collaborazione coi sindaci, con qualche vigile del fuoco e qualche altro volontario. Non si trattava solo di recuperare le salme, spesso irriconoscibili, ma anche di ricomporle, vestirle e sistemarle in sacchi di plastica e nelle bare. Poi iniziò la triste processione dei parenti, addolorati, sconvolti, che cercavano i resti dei loro cari. Era necessario accoglierli, in qualunque ora del giorno e della notte, specialmente nel cimitero di Cadola, accompagnarli tra le bare per facilitare la ricerca, consolarli. Per la sepoltura dei morti le autorità decisero di costruire un grande cimitero a Fortogna. Le scavatrici si misero subito all’opera ma mancavano gli uomini per la sistemazione delle bare. Arrivarono allora gli scouts a dare il cambio agli unici quattro stradini comunali che non ne potevano più dalla stanchezza.Forse più della metà del lavoro di Fortogna lo compirono gli scouts: scaricarono le bare dai camion, le sistemarono nelle fosse, le riaprirono più volte per permettere ai parenti angosciati un eventuale riconoscimento, dotarono ogni tomba di una croce ed aiutarono i dipendenti comunali a compiere le formalità richieste. A questo punto, ricordato il quadro generale di quella grande catastrofe nazionale, ha inizio la nuova storia che potremmo veramente definire «ai confini della realtà». Ecco perché nel titolo ho parlato di «Leggenda» del Vaiont.
Un Clan di Rovers trevigiani era impegnato nella ricerca delle salme lungo il fiume ingombro di legname, proveniente dalle costruzioni demolite dall’acqua, ed ora accatastato nel più spettrale dei modi. A mezzogiorno il Capo invita a sospendere i lavori per una breve sosta ma poiché i rovers avevano ormai affrontato una catasta di legname formatasi lungo un’ansa del fiume, di comune accordo si decise di proseguire ancora un po’ per terminare lo sgombero e di rimandare di un’ora il pasto: una scatoletta di carne e un po’ di pane.
Fu proprio verso le tredici che sotto tutto il legname trovarono il corpicino di un bambino dall’apparente età di cinque sei anni. Certamente la catastrofe lo aveva raggiunto nel sonno e l’acqua lo aveva trasportato via così com’era.Ora non gli rimaneva che una magliolina di lana rivoltata stranamente sul viso. Quando la rimisero a posto comparve un bel visino per nulla maltrattato dallo sballottamento lungo il fiume, come purtroppo lo erano invece le altre salme. Sembrava che continuasse il suo sonno tranquillo, per nulla disturbato da quanto era accaduto. I rovers raccolsero con cura religiosa il povero corpicino e lo trasportarono al cimitero di Fortogna, sperando di poter mettere un nome sulla sua croce. Lo rivestirono per bene ed attesero qualche giorno prima di seppellirlo.
Invano: nessuno si presentò per dargli una identità ed allora furono costretti a calarlo nella fossa e a ricoprirlo di terra. Sembrava che seppellisero un soldato ignoto o un martire delle catacombe. Forse la sua famiglia era stata tutta distrutta: proprio per questo i rovers, pur abituati dalla tragica circostanza ad una confidenza con la morte, piansero come se stessero seppellendo uno di famiglia: un loro fratellino più giovane. Quella notte stessa, il rover che lo aveva ritrovato per primo, se lo sognò pieno di vita in mezzo ad un bel prato.
Nel sogno si avvicinò a lui e si mise gioiosamente a giocare come aveva fatto tante volte con i lupetti del suo Branco. Dopo una bell’ora di salti e di corse il bambino lo salutò ma prima che la sua immagine sfumasse nelle nuvole del sogno, il nostro rover riuscì a domandargli:
«Come ti chiami?…».
«Arrivederci, oggi no, ma in una prossima occasione, quando ci ritroveremo a giocare, te lo dirò…» promise il bambino scuotendo i riccioli.
Al risveglio del mattino il rover raccontò il sogno e non ci fu difficoltà da parte di tutti a spiegarlo e a giustificarlo. L’impressione, il sentimento, la fatica della giornata avevano ricreato tutte quelle immagini in un alone di poesia, di sogno.
«Capita! Capita...!» fu il commento unanime.
Spiegazione più che ovvia per un sogno se esso non si fosse ripetuto esattamente la notte successiva. In questa seconda occasione, al termine dei giochi, il bambino mantenne la promessa: «Mi chiamo - disse - …».
Voi al posto dei puntini immaginate un nome ed un cognome tipicamente locali, che io per promessa fatta non posso ora rivelare.
Il rover - a suo dire - non aveva mai sentito prima d’allora quel cognome e quindi non poteva essergli riaffiorato da qualche angolo della memoria.
Nessuno dei suoi compagni ebbe questa volta la spiegazione facile, anzi nessuno si azzardò nemmeno a fare delle ricerche su quel cognome: quel bimbo si chiamava ormai così! Se malauguratamente si fosse scoperto che quel nome non esisteva a Longarone si sarebbe disciolto nel nulla un sogno a cui tutti ormai con commozione davano credito.
Certo siamo ai confini della realtà poiché io che non avevo gli scrupoli di quei rovers, le ricerche le ho fatte ed ho scoperto che un bimbo di quell’età, con quel nome e quel cognome a Longarone c’era. Posso dire di più: la sua famiglia fu tutta distrutta dal cataclisma.
In un angolo del camposcuola di Bracciano, sotto un’immagine Mariana, posta a ricordo del servizio compiuto dagli scouts al Vajont, è fissata una piccola bicicletta tutta contorta, ritrovata dai rovers poco lontano dal corpicino di quel bambinello. A questo punto potremmo anche pensare che sia stata la sua.

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